630mila ettari di risorsa boschiva regionale da trasformare in bio-economia

Articolo pubblicato venerdì 5 aprile 2019
630mila ettari di risorsa boschiva regionale da trasformare in bio-economia

I boschi dell’Emilia-Romagna si estendono su oltre 630mila ettari lungo la dorsale appenninica sul totale nazionale pari a 11 milioni ha. Tuttavia, per ora, solo il 48% offre un potenziale produttivo ossia l’opportunità di mettere a valore la bio-economia delle foreste attraverso una miriade di attività agro-silvo-pastorali che spaziano dalla selvicoltura alla castanicoltura, alla tartuficoltura, mentre il resto è costituito prevalentemente da boschi abbandonati che quindi necessitano di interventi forestali oppure posti su crinali molto erti. La vegetazione legnosa rappresenta il 46% della superficie provinciale di Forlì-Cesena; il 44% di quella di Parma e il 36% di quella di Piacenza. Seguono Reggio Emilia con una percentuale pari al 29%; Bologna e Modena rispettivamente con il 28 e il 26 per cento.

Al forum “Coltiviamo l’Appennino centrale: risorse e criticità”, organizzato il 4 aprile a Perugia da Confagricoltura, si è sviluppato un ampio confronto tra agricoltori, associazioni di categoria e istituzioni sui temi centrali: sviluppare un modello economico/produttivo del bosco; promuovere la superficie boschiva come coltura agraria a tutti gli effetti e incentivare una nuova gestione faunistico-venatoria per gli ungulati e i predatori. 

L’evento ha visto la partecipazione di cinque regioni dell’Appennino centrale – Emilia-Romagna, Umbria, Toscana, Marche e Lazio -, rappresentate dai rispettivi assessori regionali all’Agricoltura, così come dai presidenti regionali di Confagricoltura e gli esperti Raoul Romano, del Centro ricerche politiche e bioeconomia CREA e Marco Apollonio dell’Università di Sassari. Insieme a loro, il Capo Dipartimento del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e Turismo Giuseppe Blasi e il Presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti.

Incentivare un utilizzo energetico della risorsa boschiva, che oggi, grazie anche alle moderne tecnologie, è in grado di fornire rendimenti energetici superiori al 90% e minime emissioni, è quanto chiedono gli agricoltori di Confagricoltura alle istituzioni.

Altro tema particolarmente sentito è quello della gestione della fauna selvatica e dei danni che questa provoca sempre più spesso e sempre più ingenti all’agricoltura. 

«L’agricoltura è componente essenziale per i territori dell’Appennino – sostiene Massimiliano Giansanti, presidente di ConfagricolturaPer questo occorre fare una riflessione profonda sulla sostenibilità economica dell’agricoltura in queste aree, senza la quale le montagne si spopolano e si perde quel vantaggio in termini multifunzionale che garantiscono gli operatori del settore, oltre naturalmente al contributo in termini di crescita e occupazione. I territori appenninici del nostro paese, caratterizzati spesso da una debolezza strutturale ed infrastrutturale che ne comporta marginalità ed isolamento economico-sociale, possono invece assumere un ruolo strategico nelle politiche di coesione territoriale che mettono al centro degli obiettivi le cosiddette “aree interne”.  È necessario quindi definire un piano strategico di gestione a livello nazionale di questa “infrastruttura verde” che è la dorsale appenninica, orientata alla permanenza e alla valorizzazione di tutte quelle attività di gestione e manutenzione del territorio (agricoltura sostenibile e tradizionale, pascolo, attività zootecniche, selvicoltura e attività connesse e complementari alle pratiche agricole). E sono necessarie strategie di governance tarate e calate, poi, nelle realtà locali e concertate tra i diversi attori dei singoli territori, al fine di orientare efficacemente le politiche di programmazione comunitaria, nello specifico i piani di sviluppo rurale».

Fonte: www.modena2000.it

 

 

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